Cosa dire?
Cosa dire di fronte a certe immagini? Case
sbriciolate, paesi rasi al suolo, cadaveri ai margini della strada
avvolti in coperture improvvisate.
Cosa dire di fronte a certe
testimonianze? Persone che hanno perso tutto, uomini e donne sconvolti
dalla scomparsa improvvisa dei propri cari.
Forse non c'è nulla da
dire. Normalmente, in questi casi, accanto al chiasso dei media e alle
dichiarazioni di solidarietà si erge un accorato silenzio, consigliato
da tutti.
Silenzio perché umanamente è impossibile trovare parole.
Silenzio perché tutto quello che ti sfiora la mente di dire appare estremamente banale e inadeguato di fronte alla realtà.
Ma
accanto a questo silenzio delle risposte si erge incontrovertibile il
frastuono inespresso delle domande. Quelle domande che sono sempre le
stesse da quando è stato creato il mondo, e che nemmeno la migliore
delle teodicee potrà mai far tacere. Domande dinanzi alle quali ogni
tentativo di difendere Dio cade nell'imbarazzo e muore davanti
all'evidenza della realtà.
E allora cosa dire? Cosa può dire un
cristiano? Cosa può dire un prof di religione ai ragazzi che gli
chiedono “ma se Dio esiste... perché?”... E cosa può dire ogni uomo, di
ogni etnia e cultura, di ogni credo e religione di fronte a tutto
questo?
Non dice nulla la retorica della croce. Non dice nulla il
ricorso alla “sofferenza utile”. Non dice nulla sottolineare da
cristiani che “non è Dio a volere tutto questo”, anzi forse peggiora le
cose affermarlo: se non puoi prendertela nemmeno con Dio allora a chi ti
puoi rivolgere?
E non dice nulla nemmeno il fatalismo, l'arrendevole
considerazione sulla caducità dell'uomo e sulla tirannia della natura.
Nulla dice lo scetticismo elevato a sistema, sprezzante o sofferto che
sia. Neppure un politicamente corretto silenzio ha qualcosa da dire.
Di
fronte a questo male parole e silenzio restano vuoti, sterili,
insignificanti. E tutti gli uomini, così diversi tra loro, così
normalmente agguerriti nel difendere le proprie posizioni, si ritrovano
nella stessa identica situazione di incapacità, di impotenza.
Che
dunque? Ne usciamo sconfitti? Debellati? Disperati oltre che decimati?
Riconoscendo definitivamente la nostra impotenza e la nostra
insignificanza? Deponendo le armi, intellettuali o fideiste che siano, e
sventolando bandiera bianca di fronte alla vita?
Sarebbe forse la soluzione più logica una volta constatata l'insignificanza di ogni risposta...
Ma
poi esci dai tuoi pensieri e provi ad alzare lo sguardo. E ti accorgi
che quei paesi devastati dell'Abruzzo non sono solo ammassi di macerie.
Sono anche uomini e donne che lottano. Lottano per tentare di salvare
ancora qualcuno. Lottano per resistere alla fatica, alle ferite, al
dolore. Lottano, continuano a lottare. Si aiutano a vicenda e resistono
instancabilmente.
Ma come? Non era tutto inutile? Non era tutto
finito? Che cosa vi da quella forza? Che risposta avete trovato a questa
sofferenza? Spiegatela anche a noi che non capiamo!
Ma non c'è
nessuna risposta da spiegare. Nessun ragionamento da condividere. C'è
solo un appello, evidente tanto quanto questa sofferenza. È l'appello a
non rimanere fermi ma a mobilitarsi. L'appello a non arrendersi ma a
raddoppiare gli sforzi. L'appello di fronte al male a reagire con il
massimo di bene possibile.
E allora capisci che questo mondo non ha
bisogno di parole né di incoraggiati silenzi. Ha bisogno di questa
reazione. Perché se cerchi di difenderti la sofferenza ti sconfigge. La
puoi vincere solo se contrattacchi e dimostri a te e a chi ti sta
intorno che nonostante tutto è ancora possibile lottare, è ancora
possibile amare, è ancora possibile sperare.
Mai come in questo
momento il mondo ha bisogno di uomini capaci di portare questa speranza.
Una speranza che non è da spiegare, non è da zittire, è solo da vivere.